Greta

martedì 31 agosto 2010

Bendata (gli intellettuali dell'idrovora)

Mi risveglio senza sapere dove sono

Umidi e freddi. Fili di erba sulle guance
Pietra bagnata e terra molle
Un odore lontano di macchine




Rotolo su un fianco
Un braccio formicola
Mi sollevo lenta e pesante
Ho qualcosa sugli occhi
Lo stropiccio via. Alzo il collo. E' un foulard blu petrolio


Fiume di mani nel sole In bocca parole che sanno di fiore

Si siede vicino a me e mi racconta di un'idrovora. Non so cos'è e non mi interessa che «i corsi d'acqua di bonificazione richiedono una manutenzione periodica e accurata per asportare i depositi fangosi lasciati dalle acque canalizzate che, se si ammassassero modificherebbero il regime di movimento delle acque, nonché delle erbe spontanee che crescono nei corsi d'acqua»


Ha imparato a leggere di nascosto e mi porta come una spia nella sua infanzia di operaio obbligato al catechismo di paese senza altri libri per casa che la bibbia e l'elenco del telefono.


Non lo so, quando comincio a annoiarmi. Ma quando me ne accorgo non ho forza per alzarmi, risucchiata nella voce e stordita da parole che scoccano in modo meccanico come pallette di un vecchio flipper.

«Vieni. Vieni. Vieni con me»  mi tira dalle mani la resistenza molle.
«Non vuoi venire?» Dico niente. Poi mi alzo


Camminiamo in silenzio. Il sole si balocca con le mele rotonde nella campagna sotto l'autostrada.
Stretti sui fianchi; i fiori gialli di settembre ignorano i gas di scarico a pochi metri.
Superiamo un cancello con l'insegna di un bar e di una pesca sportiva.
«Vieni...» giriamo intorno a un lago e ci sediamo per terra, lontani dai tavoli vuoti. A gambe incrociate sull'erba mi racconta un libro di Wittgenstein - sulla filosofia del linguaggio «supremo filosofo ma insegnante severo che picchiava gli studenti.»


Poi schiacciamo sulle foglie umide la teoria psicanalitica della balbuzie
Sospesi giudizio e logica e il fragore dell'idrovora.
Prosciugata impudica asciugata e riempita scivolo fra il suo corpo e il prato
Sudo nella terra residui di logiche di un ruolo sociale molto importante
Con un gemito scomposto mi inquina mi corrompe e ripulisce degli umidi e freddi fili d'erba sulle guance. Nell'odore lontano di macchine rotolo su un fianco, «bendami» gli dico passandogli il foulard blu petrolio.




Ora ricordo
«Cosa leggi?» Mi danno fastidio le interruzioni. Questo ''tu'' scontato che la gente si permette di darti. Alzo il libro senza rispondere. Me lo prende dalle mani. Lo sfoglia. Dita ossidate si accavallano alle mie e sulle pagine.

Ho incontrato un uomo, poco fa, sulla ciclabile
Me ne stavo a leggere su una panchina: È passata una macchina, un pick-up di quelli che mantengono il verde. Tra il volante, e uno sguardo contratto ho continuato a leggere.
Poi un respiro arrugginito, e fermo, esagerato, ha seguito una faccia di rughe corrose nello sforzo di guardare oltre.













domenica 21 marzo 2010

racconto di E.: "VAMPIRE Weekend"

questo è un racconto di E. (un amico voluttuoso). Buona lettura


Capita di aver biSogno di far Sedimentare Sensazioni. Malgrado il desiderio.



Chiedi tempo prima di cedere al richiamo di una voglia feroce. A costo di fare una brutta impreSSione.


Torni a caSa, dopo una bella Serata: hai parlato di un milione di coSe; e’ paSSata in un lampo che te ne accorgi Solo dopo che ti e’ stata Sfilata; ti metti a letto, vedi fotogrammi di occhi Sorridenti, di una bocca, quella che avreSti voluto baciare - al poSto di un Saluto asciutto e poi andare.


Accade tuo malgrado.


Spegnere e poi riaccendere la luce, un bollore da Smorzare. Gonfio prepotentemente di vene groSSe e in tensione, nessun Sfregamento solo tre dita Stringono e reggono l’idrante. Un pompiere che Spegne un incendio, un getto intermittente su un fuoco difficile da domare.


E’ di nuovo sabato e certe decisioni per essere belle non vanno prese.


Me ne accorgo quando Sali in macchina, Stasera hai qualcoSa davvero Speciale: non e’ Soltanto la gonna con gli Stivali Senza calze a mandarmi fuori…e’ il profumo che che hai addoSSo…Sa di te.


UScire inSieme e’ evaSione; e’ una Serata a Tokyo, e’ ballare ad un concerto durante il proprio pezzo preferito; e’ come bere un calice di roSSo Speciale; e’ Soffermarsi davanti alle luci colorate di inSegne al neon che si accedono dopo il tramonto. Come parlare alla primavera che la Senti arrivare - che e’ gia’ nell’aria.


Come la voglia che mi sorprende e mi guida quando Sali da me. Ti giri con la tazza fumante della tiSana Yogi, Sa di arancia & cannella. Tutto e’ molto facile: basta non volerlo. Questo e’ il Segreto.


Abbatto la paura. Non penso alla tensione e all’emozione di vederti nuda, al timore di Sbagliare.


AbuSo della mia timidezza e continuo con il mio fare impacciato. QueSta e’ la via.


Ti bacio - non Sai decidere dove lasciare la tazza e rimani in Sospeso- e’ la mia mano quella che ti accarezza il sedere e gioca con le tue mutandine.


Mr Brun si e’ deciso a mordere e succhiare.


Un weekend da vampiri.


Sesso buono con la “S” maiuScola e tanta cannella…

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sabato 13 marzo 2010

L’esperimento



Dicono che per le donne sia facile portarsi a letto qualcuno. O addirittura chi ti pare. «Basta che respiri»: una donna ha gioco facile. «Un buso l’è un buso (fino a 45/50 anni)», dicono certi. Io di anni ne ho 40 e di “busi” ne ho due. Uno davanti e uno dietro. Mi basterebbe riempirne uno. Ci vorrei il cazzo di Bruno.
Il punto è che non lo so mica, che cosa devo fare. Come farglielo capire.
E da tre settimane mi masturbo. Continuamente.

Dicono «sei una donna, basta che sculetti un po’. Mettiti una scollatura e sussurra che hai caldo. Vedrai che si capisce subito», dicono alcune. Altre «basta che ti passi la lingua sulle labbra e una mano fra i capelli».
Ma io ho i capelli corti. Il culo piccolo, le tette basse. E porto maglie col collo alto. Allora, da tre settimane mi masturbo. Continuamente. Orchestra di dita da succhiare, partitura per morsi di pelle e squarci di tasche su gambe incrociate camicie sudate, inquiete. Un duetto per archi nudi e voci amputate mi rintrona. Senza sosta.

Frantuma il sonno, mi spezza le notti, arrotola lenzuola. Questa notte, ad esempio, ho dormito 5 ore. Traghettata in orgasmi sincopati fra l’ultimo pensiero della sera e il primo del mattino: stasera esco con Bruno!


In mezzo, diciassette ore. Nove, a pensare come vestirmi. Quindici a pensare che dire che fare succhiare. Evitare. Baciare? E dove? Misurare, istigare, insinuare?
Come azzardarti a cavallo, a pecorina, una spagnola? te lo succhio ti sconquasso se mi stringi i polsi mi fermi le mani, portami via.
Ore a contare le ore. Diciassette. una per una a mangiarmi la quiete la mente la fame. In ufficio in banca e dal parrucchiere. Al telefono, ore 9 «Buon giorno, ufficio marketing BBH, sono Luciana, come posso aiutarla?» – «….» – «Un secondo, le passo la collega.» Appendo e corro in bagno. Tarlo, ore 10. Mi alzi la gonna. «Fai piano!» ti guido – guanto che mi inarchi la mano – pensiero abitato. Sei qui con me a stringermi fra le pareti di mattonelle vecchie e la gonna e la carne sciupata e quella molle sulle cosce, apri la brocca pelosa e spingi mi arrendo ti imploro – sussulto. Poi esco.


Da tre settimane smorzo orgasmi fra le pareti dell’ufficio dalle 9 alle 17. Con uno strano virus intestinale giustifico le assenze continue. Avida, stanca, tranquillamente agitata, stacco alle 5. Fra parole sciupate il tuo nome anchilosato sta in un angolo della mia mente nello sforzo di non toccarlo.

Ma niente succede – stasera - quando mi riporti a casa.
Nervosa avida effimera umida scendo dall’auto. «Ciao Bruno, buona notte» «Ciao, ci vediamo». Chiavi porta ascensore - scarpe, vestiti, sogni. Bollente. Nuda. Spengo la luce. Sgranocchio avanzi bui della tua voce e incollo ritagli di occhi liquidi e dita grosse - orgasmo breve – teso - nervoso.

Mi annuso le dita. Sa di buono. Mi piace, l’odore della mia figa. La faccia nel cuscino, mi chiedo che effetto ti farebbe leccarmi, sentire il mio odore. E finalmente, capisco che fare. Sabato prossimo, prima di uscire, mi spalmo due gocce di liquido vaginale: sui polsi, dietro le orecchie, fra i seni. Bruno, non vedo l’ora che mi torni a prendere.


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lunedì 8 marzo 2010

Ahhhhhhhhhh Gianna (illustrato)

«Ah! Sì, così – dai, dai – sì, ancora. Ahhhh, sono la tua porca. Sfondami. Sì, dai, così - Ah aaaaaaaaaaaaaaaaah sìììììììììììì. Sì. Sì. Sì. Dai, dai. Ancora…!» Gianna si alza e va in bagno senza accendere la luce. La luna illumina i suoi piedi sulle mattonelle blu.



Fa pipì, poi esce senza specchiarsi. È troppa la paura di ritrovarsi negli occhi l’immagine di quella donna sfatta che da troppo tempo finge e si fa anche un po' schifo.


Stretta tra cunicoli di fantasie non sue. Stropicciata da mani violente e pistoni che entrano da tutte le parti.


Piergiorgio si è addormentato. Tornando dal bagno lo sente russare, poi si infila sotto le coperte, evitando di toccarsi. Si fa un po' schifo. Schifo del corpo bianco e flaccido a cui è incatenata e che non ha saputo svezzare dalla bulimia di inculate e bella vita.


Si rigira nel letto, in attesa. Dopo anni, essere violentata da un marito che non la eccita e non se ne è mai accorto, la eccita ancora. Come maionese impazzita la mente lo trasforma in fantasia avvizzita, malsana. Soffocata e delirante. In un desiderio contorto che non capisce più.


si stende a pancia in su, allunga il braccio destro verso il pube e con la mano si tocca. Direttamente al clitoride. Niente preamboli. La mena, pensando a un uomo che non conosce. Un marinaio ubriaco, un camionista, un elettricista. Ok per il camionista. Di quelli lerci sudati. Con lo zoccolo sfondato e le patacche di unto sulla camicia. È lui, il suo preferito. Gianna si immagina giovane e avvenente.


A piedi con l'auto in panne, ha raggiunto l'autogrill e ora chiede scusa, entra nella cabina di guida. Gli chiede un passaggio. Rallenta la masturbazione, che sale e scende si accende e si spegne – mentre lei mette a fuoco i particolari. Scarta quelli che non le piacciono, annaspa per un colore, l’odore che strappa lo spasimo.

è un attimo provocarlo con la scollatura abbondante, con le tette morbide e il capezzolo in vista. Sobbalzano al ritmo del motore. Il camionista le mette una mano sulla coscia e le accarezza un ginocchio. Gianna allarga le gambe. Subito. Non aspettava altro. Si offre, ingorda e maliziosamente colpevole.


La mano sale, si infila nelle mutandine e comincia a sfrucugliarle la figa. Gianna è bagnata, spalanca le cosce, il camionista eccitato ansima nel doppio mento. «Sì, brava, apri bene... Ma che bella fighetta bagnata che c’hai. Ti piace eh? Vuoi che vado a chiamare un mio amico?» Gianna gode e non risponde. Smania per portarselo dentro. Regista di prelibate sconcezze in autostrada.


Le mani grandi, ruvide, sudate, arrivano dappertutto; il camionista abbassa la cerniera, le alza la maglietta e le strizza le tette. Gliele lecca, morde i capezzoli e finalmente tira fuori il cazzo.


gianna sente un odore acre e penetrante - piscio e mutande non lavate. La mano spinge nella sua figa, sempre più dentro. Come fosse una bambola, il camionista la sposta di peso, la sbatte contro il volante. Senza togliere la mano dalla figa.


Poi finalmente la monta. Si sputa nell’altra mano e gliela passa sempre più vicino al culo. Poi ci infila un dito. Il cazzo arriva, enorme. Orgasmo, paura, fame, colpa, goduria - un desiderio selvatico finalmente la appaga. Senza guardare in faccia nessuno.


«Sei proprio una bella troia. Sì, muoviti, così. Così, dai – dai – fammi godere…». Gianna non ha forza di rispondere. Mugugna, scuote la testa. Il cazzo del camionista sbatte, lo sente ingrossarsi, stringe i muscoli, lo risucchia, lo trattiene. «Dopo ti faccio scopare da un mio amico. Gli piaci, vedrai, con quelle tette lì…. Dopo lo chiamo» – le fa il camionista dopo essersi asciugato. Gianna si immagina scopata da due uomini. Due camionisti. Contemporaneamente. Uno lo spompina mentre l’altro la prende nel culo. Poi viene. Poi si addormenta.


Si è agitata parecchio, stanotte. Ma Piergiorgio dorme, continua a russare in sogni allo champagne e caviale, eiacula riunioni col direttivo. Sborra milioni e punti mastercard. Rabbia e tensione nel culo della moglie, che risarcisce con pellicce e diamanti.


Poi Gianna si sveglia. È buio. Non sa. Che ore sono? Ha sentito un rumore? O era un sogno? Forse è solo sete. Tra la porta di cucina e il frigorifero firmato le viene un'idea. Finalmente! Apre un cassetto. Prende un coltello, torna in camera e sgozza il marito. Poi va in bagno. Voluttuosa, si insapona di bagnoschiuma alla mandorla e ciliegia cinese con polvere di perle. Un regaletto che Piergiorgio le ha portato. "al mio amore a Verona da Pechino with love, P".


Poi si veste. Con calma. Sotto, il completino intimo che Piergiorgio le ha regalato per Natale. Reggiseno grigio di pizzo, molto scollato. Una striscia di perizoma. Sopra, minigonna bianca e autoreggente. Tacco rigorosamente 12.


alle 4.07 Gianna esce di casa, felice. Allegra come non lo era mai stata in quella casa, e imbocca l’autostrada. Pronta per uno sporco camionista.
 
 
 
 
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con le illustrazioni di AmicoAnonimo


martedì 16 febbraio 2010

Prisma (La rifrazione del desiderio)

Racconto breve (o succinto)

Questa notte quando mi sono masturbata, prima di addormentarmi, è riemerso nell'orgasmo mio, ondivago, lo sguardo sornione e indagatore del professore.

Nulla, del suo corpo corpulento e curvo, mi attraeva, oggi - oltre il valico della scrivania.
Ma nella rifrangenza del desiderio irrompe la sua carica seduttiva, e forte, e intelligente, e maschia.
E si perde, il ricordo degli anni.
72 a gennaio.



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lunedì 1 febbraio 2010

Insalata invernale afrodisiaca à la Urbetzkj

scrivendo a un amico di penna - ma dovrei forse dire di tastiera, in questi tempi moderni - mi è venuto in mente di condividere con voi la ricetta che ho inventato questa sera, per un'occasione speciale. La chiamerò Insalata invernale afrodisiaca à la Urbetzkj.


Ingredienti per 2 amanti
olio extra vergine di oliva
cumino
sale
pepe
2 patate grosse
olive nere denocciolate (meglio se dolci, come le spagnole)
broccoli
2 uova sode
straccetti di prosciutto crudo
un pugno di noci di Macadamia


Preparazione
Scaldate un pizzico di semi di cumino in olio extravergine e cuocetevi i broccoli. Quando i broccoli sono quasi cotti, aggiungete gli straccetti di prosciutto crudo.
Lessate a parte le uova e le patate.

Quando tutto è pronto, mescolate in insalata gli ingredienti, condite a piacere con sale e pepe e olio extravergine di oliva.

L'abbinamento delle olive dolci e del prosciuttino contrasta piacevolmente con l'aroma di cumino; particolarmente gradevole l'alternanza di morbidezza delle verdure con la croccantezza delle noci di Macadamia.

L'insalata va gustata tiepida, dunque suggerite al vostro amante di non farsi troppo attendere. Potrete giocare e raccontarvi una fantasia dolce, e una salata, poi una tenera e una più dura....


Buon appetito, e buon proseguimento di serata....

Greta

venerdì 29 gennaio 2010

Rituali

Mamma lo diceva sempre che sono un pigrone
talmente pigro che a scuola non mettevo neanche i punti e le virgole Talmente pigro che la domenica non mi faccio nemmeno il caffè

abbasso la cerniera e mi prendo il cazzo fra le mani e lentamente incomincio a sfregarmelo ripensando alle tette della cameriera della domenica Lei mi crede un uomo potente e io glielo lascio credere

potente e generoso e importante mi crede e se volessi mi lascerebbe smanazzarla nel parcheggio dopo il lavoro in un silenzio piccolo e vuoto delle cose che vorrebbe e non avrà cameriera di periferia appesa a una mancia da 2 euro su un tacco consumato e una tetta nel finestrino

sborro sul bordo del divano dopo pulirò non adesso

sposta il riccio dietro le orecchie e mi sistemo nel divano lei mi incomincia a leccare e poi me lo succhia e me lo avvolge nelle sue labbra un po' stanche e un po' vecchie poi vengo


pensa che sono importante
l'ho capito da come ancheggia quando viene verso di me a prendere l'ordinazione e raddrizza la schiena e slancia il passo per darsi un tono e mi vuole impressionare di fermezza elegante e solida e di controllo ammiccante segretamente sinuosamente debole e pronto a cedere

Io glielo lascio credere che sono potente e ci mette il miele nella voce quando prende la mia ordinazione per la colazione della domenica perché non dovrei? l'illusione mi compensa con una fetta di scollatura

arriva e si china verso di me e prende nota dei miei desideri latte macchiato con poco caffè e un bagel col burro fresco e la composta di mirtilli. «Sia gentile mi porta il Guardian?» il tacco è un po' sciupato e il polpaccio è gonfio nella calza leggera che a volte è smagliata sul tallone le lascio sempre 2 euro di mancia. Riti Domenicali

Mi vedo al volante come mi vede lei della mercedes nera coi vetri fumé che lento lento lento sguscio nella tangenziale silenzioso lento piano per andare al campo di golf. raffinato esclusivo signorile mi vede e mi allontano

Finisco il latte macchiato e lascio i soldi sul vassoio vicino al giornale

Mi osserva mentre metto in moto e poi alzo il finestrino e poi metto la freccia a sinistra e esco dal parcheggio e accendo la radio su una stazione jazz. Non piano e non forte

io la guardo che si rimpicciolisce nello specchietto giusto il tempo di mettersi un ciuffo dietro l'orecchio e mi nasconde il traffico

Sulla svolta per il lungomare giro due volte attorno alla libertà di andare ovunque e al quartiere dandomi un tono e una meta e come lei ancora mi stesse guardando andare A giocare a golf

Torno a casa

Il televisore è acceso come lo avevo lasciato tanto lo sapevo che tornavo e la domenica è lenta
Di nuovo

mi siedo marrone il divano è consumato e penso che è bello lasciarglielo credere che sono potente e vivere nel suo desiderio riflesso di un altro io Lei mi crede potente e la mia erezione non la smentisce

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giovedì 28 gennaio 2010

L'ambigua psicologia del cocker

Mi giro e ripenso al menù. Tortino di sfoglia con ripieno di formaggi francesi su lettuccio di rucola. Il maresciallo Turri si è seduto di fronte a me.

Dopo il primo boccone, ha inteso intrattenermi sulle delizie della coltivazione del basilico, su cui, mi dice, è particolarmente ferrato, grazie ai natali partenopei del ramo paterno della famiglia. Io ne osservo i capelli neri, che a tratti scivolano sulle sopracciglia. Vorrei baciarlo. Ha gli occhi grandi e placidi, un po’ sporgenti. Tutto il pelo nero che gli cresce attorno alla bocca non riesce a involgarirne il profilo, le labbra spuntano, quasi femminili.

«Sa – mi dice – mentre mi fingo interessata, ma penso solo a godermi l’ultimo boccone del tortino e due dita di vino rosso – come si prepara la ricetta originale del pesto?» Faccio cenno di no, e intanto mi chiedo cosa ci sarà di primo.

Erano anni che non tornavo in questa sala da pranzo – ma l’arredamento sontuoso-rococò, con sedie imbottite come torte viennesi e le posate d’argento non mi impressionano. Spazzolo via le briciole dei grissini e annuisco due o tre volte.

Il maresciallo, forse timido nella conversazione con un’assessora, pare non notare il mio sguardo insistente. Non me ne importa niente, delle piantine di basilico della nonna, né della sua antica ricetta. Più del tortino e del vino, mi frega di riuscire a infilarmi il maresciallo nelle mutande. Diciamo, in pausa tra il primo e la carne?
Anticipo io, con una tartare in alta uniforme maresciallo. Non male. Lo frollerei per bene…
Ma lui continua con le ricette della nonna e io sfogo la noja arrotolando un ciuffo fra l’indice e il medio. All’improvviso mi chiede se mi piacciono gli animali. Vira su una conversazione da primo appuntamento, questo uomo solido. Ma riempie così bene l’uniforme che mi sforzo di rispondere a modino al suo tentativo di verificare connessioni e interessi in comune. «Certo che mi piacciono gli animali» mormoro e tronco “e il tuo pelo - quante belle pecorine che ti farei, mio bel bisteccone!” Ma non glielo posso dire. “Ti spalmerei anche di pesto casareccio, se la cosa ti fa impazzire”. Sospiro.

Ci immagino scopare su questa bella tavola imbandita – il maresciallo che mi prende da dietro, i calici che tintinnano mentre mi sbatte – io urlo e mi aggrappo alla tovaglia di pizzo rischiando di rovesciare il vino. «Il cocker è davvero un compagno formidabile, sa? – mi richiama a terra lui. - Pensi che mi sono iniziato a documentare sui cani dopo essermi, per così dire, ‘’innamorato’’ del cocker di un mio caro amico. E non ho smesso più. Ah, Lei preferisce i gatti? Nooo, io no. Ho da sempre una spiccata predilezione per i cani, in particolare quelli da caccia. Perché sa, come dico io, il gatto dimostra verso l’uomo una sorta di affetto di circostanza – sì, affetto di circostanza, lo chiamo. Cioè, si abitua alla nostra presenza e la sfrutta per garantirsi, con quattro moine, da bere e da mangiare e una cuccia calda». Ride, sorride. “Ma che ti ridi? La situazione è drammatica. Bisteccone del mio cuor, possibile che non capisci?” Annuisco e addento un pezzo di pane. Riprendo la bottiglia di Lagrein rosso riserva, faccio per versargliene un po’, ma lui mi ferma con la mano - «No grazie, devo guidare». E che palle!

Alla prima forchettata di lasagnette ai porcini con salsa di radicchio allungo un piede sotto il tavolo. Ho sfilato una scarpa – decolleté pitonato, design americano. Spingo la calza di seta sul collo del piede del maresciallo. Lo guardo fisso - punto le pupille nei suoi occhioni. Sorrido, abbasso gli occhi e lo invito a parlarmi ancora dei suoi cani. Entro piano, mi faccio strada con le dita – lo sento tendersi – ma non tirarsi indietro. Non se lo aspettava – mi rende uno sguardo stupito. È in imbarazzo. Gli occhi, già grandi, si gonfiano, ma restano nei miei. Non dico altro. Mastico lasagnette e poteri telepatici – sperando che capisca finalmente cosa farmi, con il suo bel pezzo di carne di padre partenopeo. Se ci fosse lui, tra le mie labbra, al posto delle lasagnette. Continuo a lavorarlo di piede. Il maresciallo deglutisce, si agita sulla sedia, afferra il collo della bottiglia e si riempie il bicchiere.

Il polpaccio è peloso, pieno – gli abbasso il calzino e lo strofino con intenzioni chiare. «Ti – ti piace la – la – la lasagnetta?» mi fa, passando al tu senza accorgersene. «Ottima» Salgo verso il ginocchio, oltre la stoffa ruvida dell’uniforme. Gli scosto le ginocchia, senza trovare resistenza. Di fronte a me, lui sbianca, poi arrossisce. Beve e rigira la lasagna nel piatto. Io continuo a sorridere, aspettando che la lussuria trabocchi dall’imbarazzo. Non dubito che sia questione di minuti.

E infatti il maresciallo Turri mi lascia entrare; allungo una gamba sotto il tavolo – col piede mi muovo intorno al suo inguine, spingo, perlustro, lo accarezzo. Lui sistema la tovaglia. E ci lascia sotto una mano. Me la mette sulla caviglia e finalmente inizia a accarezzarmi.
Tra il primo e il secondo, il servizio è intervallato da canzoni di montagna, intonate dal coro di paese, in fondo alla sala. Tutti o quasi smettono di mangiare. Mi tolgo il tovagliolo dalle gambe, lo appoggio sul tavolo, vicino alle posate – il resto è storia. «Vado a cercare un bagno. – gli dico - Mi aiuta?» Gente va e viene dalla sala rococò, qualcuno esce a fumare. I camerieri non sembrano gradire i cori, io faccio strada sulle scale. Bisogna scendere, poi prendere la seconda a destra. Ma la scala porta anche al deposito sci. E al garage. Senza tentennare mi ci infilo, tirandomi dietro il maresciallo. Vado in fondo, in un angolo. Me lo stringo addosso e lo bacio. Le mani del maresciallo perdono ogni titubanza. La lasagnetta telepatica ha funzionato – è il mio ultimo pensiero prima di darci dentro.

Torniamo al tavolo giusto in tempo per il dolce. Non sbagliavo. L’uniforme addomestica una bestia di prima scelta – quando gli ho chiesto di mostrarmi a che punto arriva la sua passione per i cani mi ha sbattuta sul cofano di un macchinone blu. Via salamelecchi e buone maniere. Mi ha strappato reggicalze e mutandine.


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venerdì 22 gennaio 2010

Sulla soglia di insoliti sguardi

Mi sollevo pigramente dal letto e accendo una sigaretta. Fuori splende il sole. Sul mare e nessuno ci aspetta.

Ci siamo raccontati di nuovo, Luciano e io; incontro casuale, il nostro. Il primo. Io uscivo, lui entrava. Per una cena con le amiche della mia compagna di casa. Allora solo figlie di dentisti e magistrati. Oggi mogli e madri dalle strategie attempate e inadatte alla progettazione di diventare nonne. Donnesche allora e oggi sotto il mio sguardo non di genere sugli uomini. Mi si è stemperato, però, l'entusiasmo giovanile e allegro. Me ne rammarico.

Sere dopo conobbi Roberto, collega di Luciano: l'ispettore Benati, che ho sposato. Simpatia emiliana, muscoli a piacimento, amici viaggi serate pizze in compagnia. Che mi mancava? Niente.
Infatti.

Oltre la soglia che attraversavo uscendo mentre Luciano entrava, stavano 15 anni matrimoniali e due figli. Domeniche di tigelle focacce e pesto modenese. Estati di balere sul mare e pesce fresco sul barchino. Abili e ostinati cimeli di suocere curve su teglie di tortellini fatti in casa.

Con Luciano, siamo amici di famiglia. Da 15 anni. L'ho conosciuto pochi giorni dopo Roberto. 15 anni di pizze tigelle focacce serate chiacchiere battute risate pettegolezzi sulle colleghe modaiole. Quindici anni. Fino a natale.

Modena, piazza cittadella, ufficio.
Un vortice di canzoncine melense, baci falsi appesi nell'aria nebbiosa fuori dalla balera di un altro capodanno freddo. Palate di auguri chimici e buoni propositi plastici mi porterà via. Panico di montagne russe senza cintura di sicurezza. Respiro rotto. Ansimo. Sudo. Fratturo il pensiero. Telefono. Agenzia. Soccorso.




17 dicembre, casa di Alice.
Mi ero ripromessa di non dirlo a nessuno. Fino alla vigilia. Tranne che a Roberto, certo. Lui lo sa, e forse mi avrebbe anche capito. Inventando qualcosa per la suocera. Un viaggio di lavoro. E, grazie, no, non serve un pacco di tortellini per la pausa pranzo in conferenza.

Invece ho raccontato tutto, a tutti. In punta di divano. Valicata la riprovazione dietro gli occhiali di Giovanna, ho sguazzato nel trabocco di sorpresa sulle labbra di Serena.

«Vengo anch'io» dice Luciano. Non lo sento entrare, in cucina con lo scroscio dell'acqua sui piatti a coprire ogni rumore. Mi ha fissato tutta la sera. Appiccicati gli occhi alle mie mani che sparecchiavano impilando piatti spostando bicchieri racimolando posate.

Chiudo il rubinetto, altrimenti non sento. Ma non c'è niente da dire. Non c'è inflessione né entusiasmo nelle sue tre parole. Dato di fatto. Semplice. Perentorio. Tassativo, quasi.

Scarta avanti, il 17 dicembre, la porta girevole delle nostre vite.
Segmenti secanti sulle rette vie di Roberto e di Monica. Parallele: (mil. Spec. plurale) trinceramenti al fronte di attacco. Con funzione di collegamento e base di partenza. Monica. Roberto.

Triangoli sferici virtualmente impossibili.

Apro la finestra. 1 gennaio 2010. Olhos de Agua. Le scogliere rosse sull'oceano, punteggiate di foglie ovate e fichi d'india rossi.

«Alzati, dai, che c'è un sole splendido!», dico a Luciano. Allunga il braccio per tirarmi sul materasso. Scivolo e mi lascio cadere su di lui e fra le lenzuola arrotolate.

Maliziose occhiaie sotto trecce bionde e calunnie di lana celano l'imbocco del mio seno e lo stocco di nuovo turgido. L'aria dell'oceano scompiglia il bavero delle giacche.

1 gennaio 2010. Olhos de Agua. Camminiamo in silenzio sotto scogliere rosse. Punteggiate di foglie ovate e fichi d'india.






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domenica 17 gennaio 2010

Sukube d inquieto inguine immaturo

Prendimi - pikoli morsi d pelli

e la boka avida,

a forza, violenta

col pensiero d te.


A denti scarnifica

i fianki,

e con mani

virtuose e voraci.


In ingordi capricci
xvertiti d pensieri densi e rozzi

ricerco te.



"Guest experience": versi perversi dell'amica bloggheressa Donna Cannone




domenica 10 gennaio 2010

Stimatissima professoressa Granzi

Sono gravida di te e di come mi hai insegnato a descrivere il mondo.

Senza parole.
Senza parole non so stare.
Non sostare, senza parole.


Climax nella terzina ardente. Ascendente.
Di suspense, denuncia o passione.

La domenica sera mi guardo un porno.

C'è quello del negro che si incula una ladra. Bella, mora, con i capelli lunghi, che era entrata in casa sua.

Il senso sta tutto nel modo in cui le mette le mani sul bacino e la gira.
Il resto è spinterogeno già visto e sempre uguale a se stesso.

Mi eccito comunque e a un certo punto mi masturbo.

Il lunedì mattina entro in aula sgargiante. Pronta per una nuova sfavillante lezione di greco.




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