Greta

mercoledì 30 dicembre 2009

Un peccato originale

In fondo forse tutto è feticismo.
Sì, tutto: spingere una maniglia, togliersi le scarpe, mettersele scalcagnate, scrivere alla tastiera, ma di un Internet point: dopo un nigeriano, prima di una moldava, rubare il prosciutto in frigo, alle due di notte, riconoscere un'ascella e un'epoca da un odore, essere ospiti, andare in bagno e intascare la saponetta, far salire un autostoppista e mettere su quella musica registrata da un porno.

Perché, appunto, il sesso in fondo è feticismo: si gode per l'idea, quasi mai per il piacere punto e basta.
Ci si crogiola nell'atmosfera, accarezziamo muscoli figurandocene la forza, baciamo piedi godendo della perversione, sfioriamo schiene compiacendoci del brivido sotto le dita, diciamo porcate diventando qualcun'altra, o noi stesse finalmente. Si scalano le vette della bassezza, si domina in ginocchio godendo del potere di far urlare, ci si agita indemoniate o inerti, subendo spinte, restituendo graffi.

Hai voglia a supplicare “ancora”, a guaire, a tenerti alla testa del letto, e a convincerti che è perché ti piace. Menti: è soprattutto per svegliare il vicino.

Anche se godi per davvero il sesso rimane una recita, una messinscena, in cui lo specchio non dà gusto, se non s'immagina, dietro, la spia; o almeno di raccontarlo.

C'è una scena di un vecchio film in cui Celentano promette all'amata che se lei gli si concederà lui terrà il segreto. È il massimo del sacrificio: a costo di patire le pene dell'inferno neanche Adamo ed Eva che facevano l'amore sono riusciti a nasconderlo.

Su questo con questo e in questo riflette a quest'ora dopo la mia confessione Don Ezio, abbeverandosi dall'acquasantiera, umettando limaccioso una candela del sangue di Cristo.
 
 
© Madame Greta Urbetzkj Your Web-Mistress 2009

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domenica 27 dicembre 2009

Signora sola in gondola

Lorena si accoccola tra i cuscini vecchi di finto broccato.
La luce fra i canali accende le calli vecchie e umide, e dai ponti si affaccia qualche turista geloso. Occhi a mandorla seguono la scia, Lorena vorrebbe salutarli con la mano ma è intimidita.

Passeggia lo sguardo dai turisti alle finestre arrugginite, affacciate sul pelo dell’acqua e vorrebbe fermarsi, entrare e spiare le cantine.
Una scarpa da ginnastica affiora tra le barche, fermate al muro con vecchie corde e coperte con teloni di gomma verde, poi sbatacchia e scompare.














Avverte, Lorena, che il gondoliere le sta dicendo qualcosa. Vede le sue labbra muoversi, un braccio allungarsi indicando a sinistra. Richiamata, emerge dai ricordi. Sfila tra lo spettro di Andrea e gli occhi ironici e verdi. Dai baci morsicati fuori dai bacari vocianti di studenti e vecchi ubriachi. Ci sono ancora scaglie della loro pelle sulle pareti bizantine e vischiose. Ricordi gonfi di alghe galleggiano sotto i vaporetti.

«Come dice?» si solleva, chiedendo al gondoliere. Smorzando un sospiro trasognato gli sorride. «E adesso dove mi porta?» gli chiede sistemandosi meglio sui cuscini. Le erano sfuggiti gli occhi chiari tra il ciuffo biondo e gli zigomi grandi.
Il gondoliere spinge il remo. E lo sguardo. Ritmicamente, insiste a entrarle nell’orizzonte, a farsi largo fra le ciglia, a arrampicarsi dentro le palpebre.
Sembra frugare, divertito e insolente.

Sorpresa come una ragazzina Lorena si lascia percorrere le spalle curve e i capelli arruffati nel collo della giacca. Stancamente stende le gambe, lisciandosi la gonna sotto le ginocchia; a ritmo lento nell’acqua spezzata dal remo la gondola procede. Il cielo si scurisce tra le case e solo, nello sciabordio, il remo gratta nello scalmo.


Il gondoliere fruga, divertito e insolente.

Nel piccolo scricchiolio dei cuscini lisi spunta e si diffonde una vampa. Come pietra battuta a forza si sprigionano scintille. Sente il ventre molle, adesso, Lorena. La tensione chiara di un volere cavo riabita regioni di sé che credeva spente. Si agita, si gira si risistema sui cuscini vecchi. Le ciglia sbattono veloci. Divertito, il gondoliere la guarda.

Non ci sono più ponti, non più turisti.
Lorena si allontana dai cuscini bilanciandosi piano sulla barca. Continuando a fissarla il gondoliere allunga un braccio per prenderla. Attraversa un’ipnosi acquosa, Lorena, e lo bacia; il remo si schianta nello scalmo poi si ferma. mani lisciano la camicetta labbra si fiutano mani sfilano la gonna denti si annodano mani arruffano i capelli labbra si accarezzano dita si intrecciano bocche si mordono. Nel buio senza ponti né turisti Lorena abbassa la cerniera e si inginocchia lo accarezza piano lasciando che l’aria umida irriti la pelle calda il gondoliere slaccia la camicetta in cerca dei seni gonfi tira un capezzolo irritante ma lei continua a succhiare piano forte piano forte Piano Forte Lecca succhia lo blandisce lo lusinga
Il gondoliere su di lei in piedi tra le vecchie calli ansima.
Lorena, che non è che non sa che non vede né dove né perché accelera, lo vuole bere sputare sciacquare inzuppare nell’acqua del canale
con un gemito strozzato il gondoliere si aggrappa al remo.
Lorena torna fra i cuscini di broccato finto e un po’ sdrucito.


la brezza spettina la sera, Lorena e il gondoliere. Il gondoliere guarda Lorena.
Lorena guarda l’orizzonte che si spegne mentre le onde si rompono sui fianchi di barche non ferme. Non ci sono ponti. Non ci sono turisti.




© Madame Greta Urbetzkj Your Web-Mistress 2009
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